22^ TARGA FLORIO

 10 maggio 1931

1

ALFA ROMEO 8C 2300 (#14) - TAZIO NUVOLARI

 KM. 584,000

GRANDE CIRCUITO in 9h. 00' 27" 64,834 kmh. 4 giri - part. 13 class. 6

2

ALFA ROMEO 6C 1750 (#16)  - BACONIN BORZACCHINI

3

BUGATTI TYPE 51 (#2) - ACHILLE VARZI GIRO VELOCE

4

ALFA ROMEO 6C 1750 (#10) - GIUSEPPE CAMPARI

5

ALFA ROMEO 6C 1750 (#24) - GUIDO D'IPPOLITO

6

ALFA ROMEO 8C 2300 (#18) - LUIGI ARCANGELI / GOFFREDO ZEHENDER

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MASERATI 26 M (#12) - RENE' DREYFUS

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BUGATTI TYPE 35 (#36) - LETTERIO CUCINOTTA PICCOLO

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ALFA ROMEO 6C 1750 (#26) - CARLO PELLEGRINI

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MASERATI 26 M (#6)  - CLEMENTE BIONDETTI

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MASERATI 26 M (#8) - LUIGI FAGIOLI

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ALFA ROMEO 6C 1750 (#22) -  COSTANTINO MAGISTRI

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SALMSON (#30) - I. CASTAGNA

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BUGATTI TYPE 35 - I. TOIA
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BUGATTI TYPE 35 - ANGELO GIUSTI
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BUGATTI TYPE 35  - EMILIO ROMANO

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ALFA ROMEO 6C 1750  - MARCO PIRANDELLO

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MASERATI - I. LANDOLINO

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MASERATI  - PAPILLON
A causa di una grande frana che inghiottì 18 chilometri di strada, Vincenzo Florio, con le soluzioni coraggiose di sempre, riportò la targa sul grande circuito. Le case esitarono e la Bugatti affidò una sola macchina (una duemila con alberi a cammes in testa), proprio ad Achille Varzi che le aveva interrotto quella supremazia che durava da cinque anni. I giri da compiere erano quattro; al terzo Varzi, che conduceva, migliorò di oltre un'ora il record stabilito da Trucco su Isotta Fraschini nel 1908. La Bugatti cedette però alla distanza e, nell'ultimo giro, venne superata dall'Alfa di Tazio Nuvolari che, come guida, non era stato certo inferiore al suo rivale. La media fu di Kmh 64,834. Al secondo posto riuscì a piazzarsi Borzacchini mentre Varzi precedette Campari.


 Ritorno della Targa sul grande circuito e grande affermazione di Tazio Nuvolari su Alfa Romeo.

La grinta di "Nivola" che al quarto ed ultimo giro supera un Varzi su Bugatti in difficoltà.

6^ posto per l' ALFA ROMEO 8C di LUIGI ARCANGELI in coppia con GOFFREDO ZEHENDER
 

Nel 1931 le piogge invernali sconvolsero il circuito della Targa con disastrose frane, come documentato dalla foto, Florio preferì ritornare al percorso del grande circuito questo indispose la Bugatti che ufficialmente non volle partecipare, concedendo a Varzi su pressioni di Florio una vettura non ufficiale.

L' ALFA ROMEO 6C di GIUSEPPE CAMPARI
 

La MASERATI di RENE' DREYFUS
 

MASERATI

FAGIOLI

MASERATI

DREYFUSS

ALFA ROMEO

NUVOLARI

 

MINIALBUM

1931

la Repubblica - Venerdì, 27 dicembre 1985 - pagina 28 di ENZO FERRARI
IL SEGRETO DI TAZIO

Curvando curvando, Nuvolari si trasferì nella leggenda

IL MIO primo incontro con Nuvolari risale al 1924. Fu davanti alla basilica di Sant' Apollinare in Classe, sulla strada ravennate, dove avevano sistemato i box per il secondo Circuito del Savio. Erano i tempi di Brambilla, di Malinverni, di Materassi, di Balestrero, di Weber. Alla partenza, ricordo, non avevo dato troppo credito a quel magrolino, ma durante la corsa mi avvidi che era l' unico concorrente capace di minacciare la mia marcia. Io ero sull' Alfa tre litri, lui su una Chiribiri. E in quest' ordine tagliammo il traguardo. La medesima classifica si ripeté poche settimane dopo al Circuito del Polesine. Diventammo amici. Cinque anni dopo Tazio Nuvolari entrò nella Scuderia Ferrari, della quale doveva divenire in breve il portabandiera. Già allora era quell' uomo spiccio e caustico che in seguito pochi amici poterono conoscere nell' intimo. Ricordo una Targa Florio, nel 1932, quella che doveva vedere un suo memorabile trionfo permettendogli di stabilire un primato che soltanto vent' anni dopo, nel 1952, sarebbe stato superato. Alla partenza da Modena, nel salutarlo, gli dissi che avevo prenotato il biglietto di andata e ritorno. Mi rispose: "Dicono che sei un bravo amministratore, ma mi accorgo che non è vero. Dovevi farmi riservare solo il biglietto di andata, perché quando si parte per una corsa bisogna prevedere la possibilità di tornare in un baule di legno". Mi aveva chiesto, per quella spedizione in Sicilia, un meccanico che pesasse poco, come lui, magari anche meno. Si sa che la Targa Florio, come la Mille Miglia di allora, si doveva correre in coppia. Così gli presentai Paride Mambelli, un adolescente forlivese che mi aveva proposto Gigione Arcangeli. Tazio guardò il ragazzo, gli chiese seccamente se avesse paura di fare la corsa al suo fianco, infine lo consigliò di stare attento alle grida ch' egli avrebbe lanciato ogni volta gli toccasse d' abbordare una curva troppo forte, così da prevedere un' uscita di strada. A ogni suo grido, Paride avrebbe dovuto buttarsi sotto il cruscotto, perché la cèntina di sostegno potesse proteggerlo in caso di capovolgimento. Al ritorno da Palermo, domandai a Paride com' era andata ed egli candidamente rispose: "Nuvolari ha cominciato a gridare alla prima curva e ha finito all' ultima. Così sono rimasto rannicchiato per tutta la gara". Ma un altro episodio di Targa Florio mi ricorda un aspetto poco noto del grande campione: un Nuvolari patito e imprevedibile. Era in allenamento con Campari, gli faceva da passeggero. A una curva trovarono del brecciolino gettato sul catrame fresco, slittarono e uscirono di strada. Campari fece in tempo a gettarsi fuori, Nuvolari precipitò con la macchina per una scarpata profonda una trentina di metri. Dopo il tonfo, un silenzio pauroso. Campari, illeso, si mise a Gridare: "Tazio, Tazio!", calandosi fra sassi e cespugli. Quel silenzio lo metteva in orgasmo. Arrivò in fondo, guardò nella macchina sconquassata: Tazio non c' era. "Tazio, in dov' è che te set?" gridò disperato. E l' omarino spuntò, finalmente, dall' erba medica, col dito sul labbro per imporgli silenzio: "Zitto - disse - che c' è un nido di quaglie, e i quagliotti appena nati. Vieni a vedere". Non aveva dimenticato di essere la più celebrata doppietta del paese. Nuvolari, a differenza di quasi tutti i piloti di ieri e di oggi, non ha mai sofferto per l' inferiorità del mezzo, non è mai partito battuto, ha sempre lottato leoninamente con qualsiasi tipo di vettura anche per il settimo, il decimo posto in classifica. Certe sue vittorie, come quella al Gran Premio di Germania del 1935, sono rimaste imprese indimenticabili della storia automobilistica sportiva. Faceva notizia, faceva clamore anche quando non vinceva. Questa sua passione, questo suo orgoglio indomito furono compresi dalle folle e da essi nacque il mito. Ma non solo il pubblico seppe apprezzare queste doti dell' uomo: il giorno in cui scomparve Rosemeyer, alfiere dell' Auto Union, la casa germanica fece appello a Tazio per avere certezza di confermare la propria supremazia. E Tazio dimostrò anche su quella macchina non ortodossa le sue possibilità di assimilatore, la sua superiore sensibilità. Ma non dimenticò di essere italiano: molti ricordano ancora oggi la sua maglietta di un giallo stinto, io ricordo soprattutto quel nastrino tricolore al collo, mai lasciato nella valigia, fermato dalla spilla d' oro a forma di tartaruga che aveva avuto in dono da Gabriele D' Annunzio. Più volte mi sono sentito domandare: ma che cosa aveva di speciale lo stile di guida di Nuvolari, che cosa aveva di diverso? Su questo famoso stile se ne sono dette e scritte di tutti i colori; succede del resto sempre così, quando un uomo arriva ai limiti dell' impossibile: s' impadronisce di lui il mito e allora, se faceva il pugilatore, si racconta che sapeva uccidere un toro con un pugno, e se faceva il pilota, che curvava su due ruote. Anch' io, dopo le prime gare combattute con lui, cominciai a domandarmi che cosa avesse di speciale lo stile di quell' ometto smilzo e serio, il cui valore si rivelava di regola tanto più alto quanto maggiore era il numero delle curve - che lui definiva "risorse" - di un percorso. Così un giorno, alle prove del Circuito delle Tre Province, nel 1931, gli chiesi di portarmi per un tratto sull' Alfa 1750 che la mia scuderia gli aveva dato. Era la prima volta che Nuvolari disputava quella corsa ed era guardingo perché mi aveva visto al volante di un' Alfa di tipo nuovo, una 2300 otto cilindri, più potente della sua. Comunque non fece obiezioni: "Sali" mi disse. Alla prima curva ebbi la sensazione precisa che Tazio l' avesse presa sbagliata e che saremmo finiti nel fosso. Mi irrigidii in attesa dell' urto. Invece ci ritrovammo all' imbocco del rettilineo successivo con la macchina in linea. Lo guardai: il suo volto scabro era sereno, normale, non di chi è fortunosamente scampato a un testacoda. Alla seconda e alla terza curva l' impressione si ripetè. Alla quarta o alla quinta cominciai a capire: intanto, con l' occhio di traverso, avevo notato che per tutta la parabola Tazio non sollevava il piede dall' acceleratore e che anzi lo teneva a tavoletta. E di curva in curva scoprii il suo segreto. Nuvolari abbordava la curva alquanto prima di quello che l' istinto di pilota avrebbe dettato a me. Ma l' abbordava in un modo inconsueto, puntando cioè, d' un colpo, il muso della macchina contro il margine interno, proprio nel punto dove la curva aveva inizio. A piede schiacciato - naturalmente con la giusta marcia ingranata prima di quella sua spaventevole "puntata" - faceva così partire la macchina in dèrapage sulle quattro ruote, sfruttando la spinta della forza centrifuga, tenendola con la forza traente delle ruote motrici. Per l' intero arco, il muso della macchina sbarbava la cordonatura interna, e quando la curva terminava e si apriva il rettifilo, la macchina si trovava già in posizione normale per proseguire diritta la corsa, senza necessità di correzioni. Ricordo che mi abituai ben presto a questo esercizio, vedendoglielo fare con tanta regolarità e con tanta imperturbabile naturalezza, ma ogni volta mi pareva di precipitare nel vagoncino di un ottovolante e di ritrovarmi fuori dal tuffo con quella specie di stupore che tutti abbiamo provato. La corsa, comunque, e nonostante la mia macchina più potente, fu sua: lui primo e io secondo a 32" e 9/10. Dopo l' arrivo, Tazio mi disse: "Per batterti mi hai costretto a lavorare come fino a ora non avevo mai fatto". E gli fece eco il suo meccanico, quel Decimo Compagnoni che sarebbe divenuto negli anni successivi un personaggio pressoché leggendario, quale meccanico di Nuvolari: "E io - disse - non mi sono mai preso tanta paura come oggi". Quella manovra in curva era possibile allora, per due ragioni principali: le ruote non erano, come oggi, indipendenti e le gomme erano gonfiate a pressioni più alte. L' incredibile dèrapage poteva così venire determinato con una sola, calcolata sterzata iniziale. Nessuno, comunque, riuscì anche allora a riprodurre "la curva" di Tazio Nuvolari. Furono in molti a tentare di imitarlo. Molti si avvicinavano alla sua tecnica, provando e riprovando, ma nelle curve più dure finivano per sollevare il piede, "telegrafando" con l' acceleratore: nessuno ripeto, osava la "tavoletta" come Tazio. Probabilmente nessuno accoppiava, come lui, una così elevata sensibilità della macchina a un coraggio quasi disumano. Più tardi, quando le sospensioni si fecero indipendenti e i pneumatici si gonfiarono a pressioni medie, anche Nuvolari non poté più derapare in modo acrobatico. Tuttavia qualcosa gli rimase: continuò a puntare l' interno della curva con la decisione di sempre, lasciandosi partire in dèrapage, questa volta correggendo il volante con pochi colpi decisi, e non più schiacciando il piede sistematicamente a tavoletta. La sua tecnica rimase comunque fino all' ultimo un prodigio dell' istinto ai limiti delle possibilità umane e delle leggi fisiche. Passarono gli anni e Tazio restò per me l' amico, anche se ci vedevamo con minore frequenza. Quando nel 1947 una macchina col mio nome iniziò l' attività agonistica, venne e mi disse: "Ferrari sono pronto". Sempre Ferrari mi aveva chiamato, mai per nome. L' ultimo nostro momento di comune passione fu in quella memorabile Mille Miglia del 1948, quando Nuvolari travolse tutti con un fantastico volo da Brescia giù e su fino a Reggio Emilia. Lo attendevo per il rifornimento a Villa Ospizio. La rottura del perno di una balestra lo privò di una luminosissima vittoria, che più di chiunque altro aveva sognato e meritato. Su un letto dell' ospitale canonica gli dissi: "Coraggio Tazio, sarà per il prossimo anno". Mi rispose: "Ferrari, giornate come questa, alla nostra età, non ne tornano molte; ricordalo e cerca di gustarle fino in fondo, se ci riesci". In queste parole, che forse erano una umile confessione, era nascosto il dramma di quell' uomo fatto d' un sol fascio di nervi, il dramma di un padre che aveva visto morire entrambi i suoi figli adorati e che invano sperava con tutto il cuore di non dover attendere la morte in un letto. Era un solitario, un uomo amareggiato per la crudeltà con cui il destino lo aveva colpito negli affetti più profondi, tuttavia, e non suoni irriverente questa mia osservazione, non cessò mai di essere un sagace regista di se stesso. Pochi come lui conobbero la folla, capirono quello che la folla voleva, seppero alimentare il proprio mito. Ogni suo atto, ogni suo gesto era previsto e calcolato, pur negli spasimi di una vita di atleta lanciato agli estremi rischi. Arrivò fino al punto di stabilire, nel proprio testamento, il giro che la folla di visitatori delle sue spoglie mortali avrebbe dovuto compiere nel giardino della sua casa. Non appena mi giunse la notizia della sua fine partii per Mantova. Era un caldo pomeriggio: l' 11 agosto 1953. Nella fretta mi persi in un dedalo di stradine della vecchia Mantova. Scesi di macchina, domandai a un negozio di stagnino la via per villa Nuvolari. Ne uscì un anziano operaio, che prima di rispondermi fece un giro intorno alla mia macchina per leggere la targa. Capì, mi prese una mano e la strinse con calore, si commosse. "Grazie d' essere venuto - mi bisbigliò - come quello là non ne nasceranno più".