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Dal Numero Unico della 51^ Targa Florio (Automobile Club Palermo): |
Il pubblico: ideale cornice per una meravigliosa tela. La stessa curva, lo stesso sasso, lo stesso muretto: Targa Florio è quasi un rito, la consacrazione di una giornata, per molti tra quelle centinaia di migliaia di spettatori che fanno da cornice all'impareggiabile quadro di colori, emozioni, rumori, passione ed entusiasmo che è la più vecchia corsa del mondo. Io non sapevo cosa significasse esattamente Targa Florio. Credevo si trattasse di una corsa automobilistica che nasce e muore in un giorno, come tante altre. La mia venuta a Palermo, coincise quasi con la Targa. Un'esperienza nuova, dissi, una bella giornata di sport all'ombra dei ricordi dei Cagno, dei Nuvolari, dei Nazzaro, delle vecchie auto sbuffanti di mezzo secolo fa, dei piloti con quello strano casco dall'aspetto di un passamontagna e gli occhialoni Merovitz che li facevano assomigliare ai diavoli. La mitologia del bolide rosso, del pilota che nella fuga imboccava il portone di un'osteria di campagna, come fece il povero Campari, la storiella umoristica della balestra che Nazzaro rubò al parroco di Caltavuturo per riparare la propria vettura: ecco cosa mi sembrava di dover rivivere recandomi a Cerda, per la corsa « più antica del mondo », come certi depliants sogliono reclamizzarla. -. E a Cerda mi aspettavo di vedere i fedelissimi della Targa, i nostalgici, i signori di mezza età che si ricordano di Vincenzo Florio, delle vecchie tribune, di quelle auto un po' demodé che sanno tanto di museo Biscaretti di Ruffia. Targa, mi accorsi subito, al primo contatto con la realtà, significa invece ieri e oggi, antico e moderno, tradizione e realtà. La gente va a Cerda quasi per un pellegrinaggio. Rende omaggio al costume di un tempo ormai andato, ma soprattutto va per rendersi conto di quello che la tecnica, i piloti, hanno fatto in un anno, per sconfiggere quel circuito barocco, sinuoso, difficile, caldo, polveroso. È una cavalcata di bolidi moderni su un percorso dal fascino antico quanto la Targa stessa. La gente corre da ogni dove. I fortunati, almeno per un giorno, sono gli abitanti di Collesano, Caltavuturo, Polizzi, Campofelice, Cerda e di tutte le piccole perle, incastonate lungo la rovente colonna d'asfalto della Targa: sono tra i pochi che possono veder passare sotto casa loro, mentre comodamente dilaniano i polli ruspanti arrosolati per l'occasione e brindano con il generoso vino di Sicilia al loro pilota preferito. Sono gli stessi che tanti anni fa, l'ormai classico manifesto della Targa invitava a starsene rintanati in casa, loro e i loro asini, le loro oche, le loro galline, durante il passaggio delle automobili perché come si soleva dire in stretto dialetto, il « sindaco se la scotolava », vale a dire non si accollava responsabilità alcuna per gli eventuali danni. Per gli altri, coloro che corrono da tutte le parti della Sicilia e anche da più lontano, Targa vuoi dire un giorno d'avventura sotto il sole o la pioggia, al vento, senza possibilità di muoversi di un centimetro da dove si trovano. È per costoro che la Targa è un rito. Conosco panciuti impiegati che per un giorno si dimenticano dei loro acciacchi corporali. Partono il sabato pomeriggio, vanno ad attendarsi nel solito posto, dove videro « sbucare » il Tizio o uscire fuori strada il Caio. La Targa, per loro, vista da un punto diverso del percorso, perde il suo fascino. « È da come abbordano quella curva — dicono taluni — che si vede il pilota ». E s'illudono che la corsa si risolva lì, in quella curva, ogni anno. Le altre mille o duemila sterzate contano poco. Il fascino d'un giorno di libertà, di aria pura, di sandwiches, di uova sode, di un ballo in mezzo al prato, sotto un albero, di un flirt improvviso, di un bacio tenero fra i fiori di campo mentre lo sguardo severo della mamma viene distratto dal « bolide rosso » che passa di fretta, quasi proprio per coprire una marachella di gioventù. Ecco cos'è, per il pubblico spicciolo, la Targa. Famiglie che per un giorno dimenticano il solito refrain trito e ritrito della vita d'ufficio, delle delusioni scolastiche, del problema del parcheggio. Mamme un po' all'antica che permettono una timida apparizione della minigonna («Tanto là, nessuno ci conosce»); attempati commendatori che provano con notevole impaccio qualche passo di « shake »: la Targa per taluni è proprio questo, una evasione dalla vita di ogni giorno. Per i più, però, è soprattutto spettacolo sportivo. Assi nostrani, bolidi mai visti nelle precedenti edizioni della corsa, novità in campo tecnico: è questo l'incentivo per migliaia e migliaia di appassionati per i quali la Targa comincia un mese prima, sin quando — in gran segreto — cominciano a « provare » le prime vetture, i primi piloti. Targa significa dramma, trionfo, delusioni, amarezze, gioia vissuti insieme con i protagonisti. Ecco, è come una magnifica tela: la Targa è una meravigliosa fusione di colori, di ombre e di luci. E la folla, la generosa folla che palpita ogni anno per essa, è la cornice che valorizza ancora di più la tela, sempre nuova, sempre aperta ai mille episodi, ora lieti ed ora tristi, che la caratterizzano. Tela d'autore, naturalmente: Vincenzo Florio. Franco Zuccalà. |
IL COMPLESSO DEL PORTOGHESE Un mangiaminestra, un parassita degli spettacoli, ecco gli attributi del portoghese: individuo, cioè, affetto da fobia per i botteghini, per i biglietti d'ingresso. Dotato, inoltre, d'inventiva estrosa per eludere le maschere e, a testa alta, si dimostra sollecito nel raggiungere l'ambito e, purtroppo, comodo posto a sedere. Gratis, questo lo slogan della nociva categoria d'abusivi. Il cassiere capo di una società calcistica qualsiasi, ogni domenica pomeriggio quando la squadra gioca in casa, è in grado di fornire oltre al numero degli spettatori paganti, all'importo dell'incasso anche il totale dei portoghesi. Una piaga, senz'altro : Napoli e Palermo sono leaders della insolita classifica della «fuga» di denaro. Identico discorso vale per i teatri, cinema e altre manifestazioni. Il portoghese palermitano, in particolare si comporta in tale maniera quasi per liberarsi da un complesso, decisamente inesistente, d'inferiorità che lo tormenta. Per evitare di fare irrobustire ancora di più la schiera degli individui in questione, i dirigenti dell'ippodromo della Favorita hanno creduto opportuno di aprire i cancelli al pubblico, instituendo l'ingresso libero, non fosse'altro per evitare il surmenage intellettuale e fisico ai portoghesi, autentici campioni nel salto dei muri, esperti nell'aprirsi una breccia attraverso le reti metalliche di protezione. Nel bilancio dell'IRES, la società che gestisce il trotter all'ombra del Monte Pellegrino, è scomparsa la voce «spese di tipografia» : tante erano le richieste di tessere di favore da dover fare stampare. Dall'assessore Pinco Pallino al dottore Salilescaleapiedi, un chilometrico elenco da dovere scontentare. Meglio cosi. Perfino la segnaletica stradale viene spesso dimenticata da costoro altrettanto bravi nel farsi togliere la multa. Soffermiamoci, adesso, nel particolare ambiente del mondo delle corse d'auto. Targa Florio. Dei 72 Km. del tracciato il luogo più ambito dai portoghesi è FLORIOPOLI, la zona dei boxes, autentici posti avanzati della Casa costruttrice, dove su scala ridotta e in pochi metri quadrati a disposizione, piloti, direttori sportivi, tecnici e meccanici dovranno garantire il successo, o quanto meno, un onorevole piazzamento alle proprie vetture. Tutti al lavoro per incrementare la produzione di vetture sportive di serie. Un vortice di miliardi, una girandola d'interessi non indifferente: pneumatici, benzina, telai, cambi, sospensioni, freni, accessori vari. Appare fin troppo evidente che il portoghese abbia scelto una «comunità» che non può assolutamente ospitarlo. D'accordo che si tratta in questo particolare caso di «portoghesi-bene», ma sono sempre rompiscatole. Le ragazze, in rispetto al binomio donne-motore, sono numericamente in vantaggio. Le donne (non quelle dei piloti) che stazionano nei boxes sono affette da feticismo vero e proprio: avvertono, un piacere matto, nel provare il casco integrale di chi fa girare loro la testa, toccano le tute a prova di fuoco dei piloti più simpatici, salgono sui prototipi per sognare a occhi aperti, per farsi ritrarre, per amore della pubblicità spicciola, si fanno rilasciare autografi perfino sull'epidermide. Nota romantica quanto si vuole, ma sempre di disturbo. E sì, la donna che gironzola nella zona rifornimenti, da fastidio perché ama essere contemplata e cerca con cura gelosa l'esaltazione della propria bellezza. Di riflesso, traggono utili vantaggi l'industria dei cosmetici, dei foulards con disegnati volti di piloti e fanno sempre affari d'oro le boutiques. Il sesso forte portoghese, invece, fa lavorare di più il proprio cervello : riescono perfino a convincere il parente o l'amico giornalista a rimanersene a casa. « Ti racconterò tutto nei minimi particolari al mio rientro a Palermo...» Sostituiscono la foto sul lasciapassare e finiscono in sala stampa, sopra i boxes, intralciando il lavoro degli inviati speciali. Posseggono una cartina topografica artigianale degli impianti e i carabinieri devono sbattere fuori portoghesi arrivati chissà come direzione corsa. Disturbavano il pilota che deve riposare, richiedono autografi nel momento meno opportuno, portachiavi, decalcomanie, buoni di benzina, durante la gara. Insomma, sono potenzialmente pericolosi, in possesso della licenza di mandare a picco l'intera organizzazione della corsa. Il portoghese, insomma, per Freud, potrebbe rientrare nella categoria dei tabù, perché ha la pericolosa proprietà di tentare altri a seguire il suo esempio. Egli desta invidia: perché a lui dovrebbe essere permesso ciò che ad altri è vietato? Sarà evitato in qualche modo il contagio di altri portoghesi? Sono in molti ad augurarselo. Vincenzo Bajardi |
TUTTA LA TARGA MINUTO PER MINUTO Quanti sono i siciliani che assistono alla Targa Florio, quanti quelli che, in una maniera o in un'altra, si interessano a questa grande e suggestiva corsa, quanti, sportivi e non, soprattutto, conoscono Cerda, Cefalù, le Madonie e la Sicilia proprio perché vi si disputa la corsa tanto cara non soltanto a Vincenzo Florio, ma a tutti i siciliani e agli appassionati di automobilismo di tutto il mondo? A questi interrogativi non si può rispondere con assoluta precisione, si può soltanto tentare di dare una spiegazione attraverso un quadro suggeritoci dall'esperienza di tanti anni. Per quanto riguarda il giorno della gara, si calcola che gli spettatori siano mezzo milione, non tutti siciliani, non tutti accentrati nella zona delle tribune e quindi non tutti paganti, perché, se così fosse, gli organizzatori avrebbero da tempo risolto grossi problemi, ma si disseminano lungo i 72 chilometri del circuito, solitamente nei punti strategici del percorso, sulla salita di Caltavuturo, innanzi tutto, e nei centri abitati, molti dei quali vivono il loro momento di celebrità proprio e soltanto in occasione della «Targa». Alla cifra di mezzo milione si arriva grazie al controllo dei passaggi delle auto che si recano sul circuito fin dalla sera prima, ma è un calcolo approssimativo, forse per difetto. Non può, infatti, tener conto di coloro, e sono decine di migliaia, che abitano sulle strade della Targa e di quelle vetture che raggiungono il percorso attraverso la fitta rete di strade secondarie che da esso si irradiano, portando sulle Madonie gli appassionati non solo della provincia di Palermo, ma anche di quelle confinanti di Agrigento, Messina e Caltanissetta. Insomma mezzo milione sono di certo, più di quanto ovviamente ne possa contenere il più capiente autodromo, che, d'altra parte, non offrirebbe gli ingredienti tipici della Targa Florio, e cioè non solo l'occasione di una allegra e irripetibile scampagnata, ma anche quel quid impalpabile, quel fascino, un po' romantico, un po' sentimentale, che ogni anno ci fa correre alla Targa, e che riusciamo ad apprezzare dippiù da qualche tempo, da quando, cioè, si è cominciato a parlare di pericolo di sopravvivenza della corsa, che è già rimasta l'unica, in Italia, a svolgersi su strada. Non siamo più ai tempi in cui la corsa di Florio era un appuntamento per gli esponenti della migliore società, un modo come un altro, per le signore che seguivano la moda, di fare passerella, magari senza neanche degnare di uno sguardo i polverosi bolidi che sfrecciavano sul rettilineo di Bonfornello o arrancavano lungo le salite più aspre. Ma qualcosa di quel tempo è rimasto anche oggi, non possiamo negarlo, ed è forse in questo apparente disinteresse al fatto sportivo da parte di alcuni che troviamo il vero successo della Targa, perché ad essa si assiste in ogni caso, con il sole o con la pioggia, per la verità molto rara. Ma torniamo ai nostri interrogativi iniziali. Quante persone, in definitiva, si occupano della Targa Florio? Milioni, non c'è dubbio. Per chi non la segue dal vivo, infatti, tutti i mezzi più moderni di informazione, i giornali di tutto il mondo, la televisione e soprattutto la radio, che con le sue trasmissioni in diretta fa vivere, e qui prendiamo a prestito dal calcio, il solo sport che in Sicilia sia più popolare dell'automobilismo, fa vivere, dicevo, «tutta la Targa minuto per minuto». Le trasmissioni, tra nazionali e regionali, occupano tutto l'arco della giornata, dalle 8 alle 24, coprendo, complessivamente, quasi tre ore, a volte con collegamenti flash sui giornali radio, altre con veri e propri servizi sulle rubriche sportive e, infine, con le radiocronache dirette che da diversi anni, anche chi scrive, cura dalla vecchia «torre dei cronometristi». Sono collegamenti che durano mezzora e più e che cercano di dare, oltre ad un quadro della corsa, le più ampie informazioni, utili a chi sta sul percorso, ma anche a chi segue la corsa comodamente seduto in poltrona. È un lavoro massacrante, che non concede attimi di sosta, ma è soprattutto un lavoro di équipe, che va accuratamente preparato nelle settimane precedenti la gara, che non si può improvvisare, che richiede un impegno, anche tecnico, non indifferente. Ma se la Targa avrà il 21 maggio mezzo milione di spettatori, la radio avrà più di due milioni dì ascoltatori solo in Sicilia, e ancora dippiù saranno i telespettatori, quindi, parafrasando il Machiavelli, possiamo dire che il fine giustifica ampiamente l'imponenza dei mezzi tecnici richiesti da una simile organizzazione, così come l'arrivo di giornalisti italiani e stranieri, che ancora dippiù contribuiscono a portare il mito della «Targa» in giro per l'Italia e per il mondo, è giustificato dall'interesse che la corsa di Florio suscita ovunque. Non si tratta soltanto dei legittimi e comprensibili interessi legati al mondo dell'automobile, ma di una curiosità, dì una voglia di sapere tutto, e presto, che va soddisfatta. A Cerda, ogni anno sono presenti giornalisti americani, inglesi, tedeschi, francesi e svizzeri, i quali, attraverso i loro servizi speciali e il lavoro delle agenzie internazionali, inviano i servizi sulla «Targa» davvero dappertutto, perfino nella lontana e fredda Finlandia, che due anni fa, perfettamente al corrente di cosa fosse la Targa Florio, ci mandò quel Leo Kinnunen che ancora detiene il primato sul giro (33'36", media 128,571 ). Non è dunque azzardato, e non vuole essere una affermazione roboante, ma ogni anno tutto il mondo, e per diversi giorni, guarda a quel minuscolo ma non sconosciuto punto della terra, appunto le Madonie, che ospita la più affascinante corsa che esista, unica superstite di un mondo che oggi ci sembra straordinariamente lontano, senza dubbio pionieristico, e che altrove è ormai scomparso, per sempre. Luigi Tripisciano |
CON LA TARGA FLORIO L'AUTOMOBILISMO CONFERMA IL SUO MOMENTO MAGICO
Per chi considera ancora l'automobilismo uno sport per pochi intimi proprio la Targa Florio costituisce la smentita più autentica. La partecipazione di piloti e vetture, l'afflusso del pubblico sono elementi che concorrono a definire, ormai, l'automobilismo spettacolo popolare alla stessa stregua del calcio, che pure coagula attorno a sé interessi vastissimi. La folla del calcio è una folla pigra, che riassume in fondo la mentalità latina; la folla dell'automobilismo è una folla più viva, più profonda, meglio disposta a sensazioni più piene. Il football è sport diffusissimo perché la sua pratica è immediata, non richiede attrezzature costose e perché lo spettacolo che fornisce è sempre ed interamente sotto il controllo visivo degli astanti; l'automobilismo è fatto invece — almeno lungo i circuiti — di lunghe pause e di improvvisi fremiti, di silenzi quasi ieratici e di rombi furibondi. Negli autodromi il frenetico carosello dei bolidi tiene avvinto lo spettatore; nei circuiti l'attenzione della gente s'incolla alla gara e subito dopo si scolla in un continuo caleidoscopio d'emozioni. Le cifre dicono che la gente crede nell'automobilismo: il numero dei praticanti è in continuo aumento, quasi di pari passo con lo sviluppo della società tecnologica, la massa degli appassionati si dilata sempre più sotto il calore di un interesse crescente. Ma che cosa di questo sport possiede in sé il germe capace di esaltare i tifosi, qual'è la molla che fa scattare il grilletto della passione popolare? È il duello fra l'uomo e la natura sull'orlo della morte, è il brivido che si avverte nel cercare sempre nuovi limiti, nel padroneggiare il mezzo ed imporgli una dimensione più palpitante. La sfida fra il pilota e la macchina ha raggiunto, in effetti, proporzioni un tempo impensabili: siamo, grazie all'avanzata della scienza meccanica, ai confini della realtà e di questa rumorosa battaglia condotta sul filo dei duecento orari la folla vive attimi fuggevoli ma pregni d'umanità. Colpo d'occhio, saldezza di nervi, freddezza, calcolo, intelligenza: sono le doti che deve possedere uno di questi «eroi delle quattro ruote». Ed in queste doti s'immedesima lo spettatore non per mitizzarle ma per scoprirne i significati più limpidi e per esaltarsi in esse. Il pubblico insomma, nelle gare d'automobilismo, assiste ma anche interpreta, guarda ma soprattutto vive il segreto della popolarità di uno sport che ha si tradizioni antiche, ma che solo gradualmente è diventato spettacolo per tutti. Un segreto che si rimodella in forme sempre nuove e che dispone di mille forze d'attrazione. Certo, a cristallizzare il successo e la diffusione dell'automobilismo, decretandone perfino un maggiore impulso sociale, contribuiscono prerogative particolari che viceversa non fanno parte delle risorse di altri sport. Il calcio, ad esempio, è un fenomeno tipicamente legato al centro urbano, in un'atmosfera perciò spesso opprimente. L'automobilismo si configura invece come spettacolo all'aria aperta, fuori dalle cinta di cemento armato ed offre pertanto lo spunto per un distensivo «sit in», costituendo al contempo una favorevole occasione per riannodare i legami del nucleo familiare sovente dispersi da un galoppante ritmo di vita. Sono queste considerazioni «a latere», nel senso che fiancheggiano i motivi d'interesse rafforzandoli. Il punto focale, però, rimane quello : il fascino della corsa, di una «guerra» ingaggiata fino agli estremi limiti, capace di tenere col fiato sospeso, quasi ipnotizzato, lo spettatore. E la Targa Florio è un po' la cartina di tornasole, l'esempio più illustre di questa definizione dell'automobilismo : tanto essa da sempre interpreta fedelmente, riproduce i simboli di questa popolarità. Il tuffo lungo il circuito delle Madonie — un serpente ricco d'insidie che si protrae per 72 chilometri fra due ali di folla — provoca l'ebbrezza non soltanto di chi lo compie ma anche in quelli che ne seguono il vertiginoso evoluire. È pur vero che la Targa fa storia a sé in quanto ha una sua tradizione inestinguibile : e non per nulla è la corsa più antica e più bella del mondo: è altrettanto vero però che la gara ideata da Florio non è altro che il parametro più attendibile per misurare la febbre dell'interesse popolare. Sulle curve che scandiscono il percorso frazionandolo in mille sospiri si rivive una leggenda quasi mitica. In una civiltà che brucia i falò del passato aprendosi di forza la via verso nuove conquiste, il mondo delle quattro ruote non è un simulacro che si guarda col rispetto che si deve alle cose sepolte ma è uno squarcio di passione che si nutre di elementi essenzialmente naturali. L'acre odore dei gas bruciati, il coraggio del pilota impegnato in una sorta di partita a poker col destino, non fanno che immergere l'uomo in una dimensione che esalta la sua potenza circoscrivendo la forza della natura. Ecco perché l'automobilismo fiorisce ancora di mille boccioli, ecco perché il suo terreno è fertile di spettacolo e d'entusiasmo popolare. Giuseppe Siragusa |
DAL NUMERO UNICO DELLA 52 TARGA FLORIO: |
IL PUBBLICO COME SEMPRE PROTAGONISTA Rumori, colori, gente; la meravigliosa gente della Targa, fedele sempre all'appuntamento come una innamorata folle. La vita ricomincia. La Targa è il primo grosso appuntamento dopo il terremoto con la vita, con la gioia di spendere ogni attimo nel miglior modo possibile. Il terremoto, i lutti, le tragiche notizie di alcuni mesi di frenetici sussulti di una terra che sembrava impazzita: tutto sembra essere un ricordo, un momento di allucinazione passato lentamente, ma per fortuna ormai alle nostre spalle. Un grosso appuntamento, abbiamo detto. La gente tornerà lungo questo meraviglioso serpente che si morde perennemente la coda, un serpente sinuoso, pericoloso per chi cerca di scherzarci. Un serpente che è pronto a mordere letalmente. Ma un « serpente », questo vetusto anello madonita, carico di un passato glorioso, di un fascino irresistibile che fa correre gente dai cinque continenti, di tutte le razze, per questo ormai tradizionale appuntamento con la dolce melodia di cento motori che eseguono un inno al coraggio, alla forza, all'autocontrollo degli eroi della Targa. Saremo tutti protagonisti a Cerda. Piloti, meccanici, organizzatori, pubblico. Si, il pubblico sarà il principale attore, forse il protagonista di uno spettacolo nello spettacolo di Cerda. La Targa è, si, agonismo, gioia, dolore, sofferenza dei suoi attori, tutti sul set per un premio, per una corona d'alloro che toccherà ad uno soltanto di essi. Ma la Targa è pure una grande occasione per tanti per trascorrere una gioiosa giornata all'aria aperta, a contatto con la natura. Per un giorno, questo frenetico ronzio di bolidi rossi, verdi, argentati sarà l'unico, piacevole fastidio per cinquecentomila gitanti con pittoreschi cappelli in testa, con una pagnotta da sbocconcellare in mano, con una bottiglia da bere a garganella, senza osservare nessuna etichetta. Per un giorno ci sentiremo protagonisti. Una giornata a Cerda è un'esperienza indimenticabile. Nel giorno della Targa, il cerimoniale assume l'aspetto di un rito sacro. È un rito che si ripete da oltre mezzo secolo, in cui ogni mossa, ogni particolare ha la propria importanza. Ogni personaggio ha pure la propria dimensione precisa: l'addetto allo sparo del mortaio che preannunzia l'arrivo d'una macchina, i cronometristi, lo speaker. Mancherà stavolta, purtroppo, un personaggio caro alla Targa, il conte Federico che ci è stato rapito dal fato. Gli altri saranno tutti ai propri posti, a recitare il proprio ruolo, con la precisione e la scrupolosità di sempre. Cinquecentomila per uno spettacolo indimenticabile. È quasi una grossa città come Palermo che per un giorno lascia tutto in asso e viene fra queste montagne impossibili, a piazzarsi al posto di sempre: quella curva dove si vedono le macchine fare un salto così, quel muretto che i corridori sfiorano ma non toccano, quell'albero dove andò a finire quella volta quel tizio che correva per la prima volta e la Targa gli sembrava uno scherzetto da nulla. Don Vincenzino Florio ci ha lasciato questo: una giornata meravigliosa, un percorso di guerra scoperto da lui e collaudato per anni ed anni. Ora tutti ce lo vengono a filmare, a studiare. Tutti vengono a provare mesi e mesi prima, nella speranza di carpirne i reconditi segreti. Ma la Targa è la Targa: quel giorno è sacro. I records valgono in quella particolare atmosfera, con quella particolare cornice di pubblico. Una vittoria alla Targa, sul piano del prestigio, vale assai più di un successo ad un Gran Premio. Torniamo a Cerda. Torniamo con l'ansia e l'umiltà di sempre. Convinti che questo particolare spettacolo è impagabile e non ha assolutamente uguali in tutto il mondo. E attendiamo il colpo di cannone che annunzia la prima macchina al pubblico delle tribune, dimenticandoci del terremoto, dei guai e di tutto almeno per un giorno. Franco Zuccalà |