CLEMENTE BIONDETTI

Clemente Biondetti (Buddusò, 18 agosto 1898 – Firenze, 24 febbraio 1955) è stato un pilota automobilistico italiano. Nato in una famiglia operaia, iniziò a correre in moto nel 1923, passando all'automobilismo nel 1927. Alla guida delle vetture italiane più in auge del tempo, Ferrari, Alfa Romeo e Maserati, partecipò a varie competizioni automobilistiche sia prima che al termine della seconda guerra mondiale. Vinse la Coppa Acerbo e si classificò 2° al Gran Premio di Svizzera nel 1939. Fece sue anche 4 Mille Miglia (1938, 1947, 1948, 1949) e 2 Targa Florio (1948, 1949). La sua unica partecipazione al Campionato Mondiale di Formula 1 risale al Gran Premio d'Italia 1950 con un'ibrida Ferrari motorizzata Jaguar da lui stesso costruita. Una delle sue ultime vittorie fu quella alla Coppa della Toscana del 1953 alla guida di una Lancia Aurelia.Si ritirò dalle gare nel 1954, da tempo malato di cancro e morì a Firenze l'anno successivo.


BIONDETTI con Masetti alla Targa Florio del 1925.

 

CLEMENTE BIONDETTI su  SALMSON alla 19^ TARGA FLORIO 1928
 

 

CLEMENTE BIONDETTI in una foto degli anni '30.

 

22^ TARGA FLORIO
 10 maggio 1931
La MASERATI di RENE' DREYFUS, poi costretto anche lui al ritiro, passa sul luogo dell'incidente, senza gravi conseguente, di BIONDETTI anch'esso su MASERATI

32^ TARGA FLORIO Biondetti domina insieme al "PRINCIPE IGOR" al secolo IGOR TROUBETZKOY

 

 

34^ TARGA FLORIO - 10^ GIRO DI SICILIA
1/2 aprile 1950
Clemente Biondetti con Gino Bronzoni su Jaguar XK 120/3,4
 

BIONDETTI ASSO DI FIORI di Maurizio Tabucchi.

Non so se accade a tutti, ma Biondetti, Nuvolari, Villoresi, Taruffi evocano velocità, rischio, ardimento. Forse si tratta solo di un fatto anagrafico: i più giovani magari percepiscono pari emozioni ricordando Senna, Prost, Schumacher. Ma è la stessa cosa? Biondetti, Nuvolari, Villoresi, Taruffi: l'eterna sfida alla morte, il rombo dei motori, il coraggio, l'audacia, le figurine degli anni Quaranta che li ritraggono, le corse degli anni ruggenti. Ma quali sono gli anni ruggenti? Quelli della nostra giovinezza? Quelli delle corse programmate dal cuore? Quelli di un'epoca ormai conclusa, ingiallita dal tempo, cancellata dagli sponsor, appiattita dalla tecnologia sofisticata e fredda dei computer? Forse sono un po' di tutto questo. E quando la decisione sulla condotta di gara non spelta allo sponsor, quando il risvolto economico È l'ultimo aspetto della competizione, quando è il cuore che comanda, ecco che accade di assistere a corse memorabili come le Mille Miglia degli anni della ripresa post-bellica, il 1947 e il 1948, vicende epiche che videro un diretto, sensazionale confronto, quello fra Tazio Nuvolari e Clemente Biondetti. Corse programmale con il cuore più che con la ragione; e alla ragione, infatti, dette un calcio il "mantovano volante", al punto che, sempre primo a Roma, al giro di boa, con un vantaggio incredibile, venne sconfitto in entrambe le occasioni forse dalla sua stessa irruenza ma, soprattutto, da Clemente Biondetti. Ma questi impressionanti risultati del pilota fiorentino dovettero cedere il passo alla notorietà e alla teatralità del fuoriclasse lombardo, tanto da non ottenere il giusto riconoscimento; trionfi attenuati dalla radio e dalla stampa che trovarono invece dovizia di argomenti nelle gesta poco redditizie, certamente entusiasmanti, ma forse un po' folli di Tazio Nuvolari. Quale esame doveva mai superare Biondetti per entrare nella leggenda? Che cosa più del confronto con Nuvolari, simbolo dello sport e dell'ardimento del XX secolo, lo doveva consacrare fra i più grandi? E perché non il più grande corridore automobilistico su strada di ogni tempo? Ma, negli anni migliori, la carriera di Biondetti, allora poco più che trentenne, aveva subito un forte rallentamento a causa della sua insofferenza al regime fascista. Questo gii costò una sorta di emarginazione con il rifiuto da parte di alcune Case automobilistiche di affidargli le proprie vetture, assegnate invece a piloti ossequienti al regime. Fin troppo semplice spiegare quindi la mancata vittoria, nel 1939, alla Tobruch-Tripoli, con l'Alfa Romeo, quando la "ragion di Stato" impose alla Casa del Portello che il successo dovesse andare ad Ercole Boratto, ottimo autista personale di Benito Mussolini, ma non certo un fuoriclasse della guida, il quale, se non fosse stato per il determinante contributo offerto da Consalvo Sanesi, lui sì fuoriclasse collaudatore dell'Alfa Romeo, che si alternò alla guida della 256, avrebbe penato non poco a sopravanzare il forzatamente rinunciatario campione fiorentino. Ma, a riscattare il suo orgoglio, c'è la straordinaria vittoria assoluta alla Mille Miglia del 1947, la prima edizione del dopoguerra, con l'Alfa Romeo che tuttavia non gli aveva affidato alcuna vettura. Biondetti ebbe la guida casualmente. A Brescia era andato come spettatore e si trovò concorrente solo per la generosità di un amico che gli cedette la sua auto e il suo posto. E poi con la Ferrari, nuova Casa da poco apparsa sulla scena delle competizioni sulle cui vetture, quasi si tosse interrotto un sortilegio, vinse le due successive edizioni (1948-1949); tre incredibili affermazioni consecutive che lo consacrano il più grande. Imprese straordinarie che nessuno riuscì mai ad eguagliare! All'ultima gara, il Giro d'Italia che si corse nel mese di ottobre del 1954, Biondetti dovette portarsi dietro un tegamino elettrico per farsi degli impacchi caldi sulla ferita che gonfiava a causa del linfogranuloma diagnosticato tre anni prima. A gennaio del 1955 fu ricoverato in ospedale e il 24 febbraio morì. Durante la degenza vennero a trovarlo tanti amici corridori. Lui li salutava con una strizzatina d'occhio; non poteva più parlare.

BIONDETTI: L'UOMO

Per metà veneto, per un quarto toscano del Casentino e per un quarto sardo, Clemente Biondetti era nato nel 1898 in Sardegna, a Buddusò, paese a circa trenta chilometri ad est di Ozieri ma, di lì a poco, la sua famiglia si trasferì definitivamente a Firenze. Il destino lo aveva voluto fiorentino, profondamente radicato nella sua Firenze. La sua origine toscana era dovuta a Giuseppe Dei, erede di una agiata famiglia di costruttori edili del Casentino, che intorno al 1870 si era trasferito in Sardegna, attratto dalle ottime opportunità di lavoro che l'isola offriva, e aveva sposato Maria Pinna Pente appartenente ad un altolocato e notissimo casato sardo. La loro figlia si chiamò Rosa Fiorentina, straordinario nome che sembra uscito da un poema epico, che il padre le volle dare in ricordo della sua Toscana. Ma, all'età di quindici anni, Rosa Fiorentina perse la madre e qualche tempo dopo conobbe Ettore Biondetti di cui si innamorò follemente. Veneto, anche lui in Sardegna per lavoro, il giovane Biondetti vantava la discendenza da una famosa dinastia di orafi imparentati anche con il celebre scrittore Emilio Salgari. Quel travolgente amore provocò però le nozze in tutta fretta perché, di lì a poco, era il 1890, nacque Felice. Nel 1891 fu la volta di Giovanni, nel 1892 venne un terzo figlio; poi, nel 1894 nacque Giuseppe che morì durante la prima guerra mondiale. L'ultimo dei quattro figli, che Rosa Fiorentina mise al mondo nel 1898, colui che doveva diventare forse il più straordinario corridore stradista di ogni tempo, sì chiamò Clemente. Ettore Biondetti fu colpito dalla polmonite e morì prima ancora che Clemente venisse alla luce e l'anziano Giuseppe Dei, ormai rimasto vedovo, nel 1899 decise di fare ritorno a Firenze portando con sé la figlia Rosa Fiorentina, vedova appena ventiseienne, e i quattro nipoti, i quali crebbero e trovarono occupazione nella grande azienda di costruzioni di famiglia. Ma il giovane Clemente aveva un carattere vivace e aperto alle novità che lo portò subito ad appassionarsi alle moto con le quali, nel 1924, iniziò l'attività di corridore con una Norton 500. L'anno successivo si alternò alla guida di una Excelsior e di una AJS e ottiene lusinghieri risultati. Ma è nel 1927 che fa il grande salto passando alle automobili. Salmson, Bugatti, Talbot, Maserati, le vetture che guida da quel momento, vincendo, fino al 1936, quando ottenne un posto nella squadra ufficiale Alfa Romeo e si piazzò subito ottavo assoluto alla Mille miglia di quell'anno. E alla gara bresciana è primo assoluto due anni più tardi, nel 1938, sempre con l'Alfa, alla media generale di 135,391 km/h, primato che rimane imbattuto fino al 1953. Non meno memorabile, sempre nel 1938, l'impresa alla 24 Ore di Le Mans, con l'Alfa 8C 2900 B, che vide Biondetti dominare la corsa per poi essere costretto all'abbandono a causa di un guasto. Ancora vittorie nel suo ultimo anno di corse, il 1954, con la Tre Ore di Bari e il Giro di Calabria, ma la malattia lo aveva ormai aggredito. Il 24 febbraio 1955, la morte.

 

RICORDO VIVO DI BIONDETTI Articolo non firmato tratto da Tuttosport (marzo 1955)

Vedemmo Clemente Biondetti l'ultima volta alla partenza della Mille Miglia del maggio scorso, ed era la sola guida di una grande macchina rossa. Una profonda ruga - o era una lunga cicatrice? -gli tagliava la fronte, facendolo aggressivo, crucciato. Vedemmo Clemente Biondetti l'ultima volta in uno di quei momenti quando tutto quello che succede resta ben fermo nella memoria, però viene ricordato come una cosa fantastica, un po' come i sogni: la luce violenta dei fari alla partenza, l'aria fresca della notte e l'odore acre del carburante, il rombo dei motori e le facce livide del pubblico e i meccanici in tuta bianca che si affannano alle vetture e il giorno che nasce sulle colline e un uomo dall'aspetto tra il minaccioso e lo spavaldo di chi sta per entrare in una rissa, vestito in maniera trasandata e seduto solo in una macchina rossa. Qualcuno disse che aveva acquistato quella macchina vendendo certi suoi terreni ed ulivi della Versilia. Si aggiunse che non gli era più rimasto un palmo di terreno né un albero, ma che Biondetti avrebbe trovato lo stesso il modo di correre nei prossimi anni. Forse avrebbe venduto la propria casa, forse chissà cosa avrebbe fatto: si sarebbe arrangiato in un modo o nell'altro, ecco. Era difficile riuscire a capire perché facesse questo. Si diceva: "Ha cinquantasette anni e troppe cicatrici. È il solo sopravvissuto di una generazione di corridori toscani, avendo visto morire Masetti in Sicilia, Materassi a Monza e a Tripoli ha vegliato il povero Brilli Peri che era stato suo maestro. Quel giorno, a Tripoli, quando vide la Talbot di Brilli Peri con le ruote al sole, accanto a una duna che in quel punto faceva bordo alla pista, Biondetti sentì il cuore stringersi d'angoscia e giurò che non avrebbe più corso. Allora perché ha continuato a correre? Perché ha continuato a cercare le strade più difficili, la velocità più sfrenata le curve agghiaccianti? Cento volte e forse più ha sfiorato la morte. Ricordate quando, sul ponte della Decima vicino ad Ostia, si è scontrato con Bassi e Boris e questi sono stati raccolti in fin di vita e lui con ventiquattro ossa spezzate? Ricordate lo scontro al Circuito di Pescara e quello della Consuma, quando si è rotto il piede? Per questo zoppica ora. Ha cinquantasette anni e troppe cicatrici e ha visto troppe ruote al sole: perché corre?". Mancava poco alla partenza. Biondetti fumava seduto solo nella grande macchina rossa, aveva le sopracciglia aggrottate come se stesse per entrare in una rissa. Qualcuno gli chiese: "Biondetti, perché corre?". Alzò le spalle. Disse: "Sono solo al mondo. Nessuno mi aspetta...". Ma non si corre solo per questo. Qualcuno disse che correva perché voleva dimostrare a se stesso che non aveva paura delle macchine e della velocità che avevano ucciso i suoi amici piloti del bar di via Tornabuoni di Firenze. Qualcun altro aggiunse che correva perché questo era il solo modo per non sentire il bruciore delle vecchie e molte ferite. Ma anche queste non erano buone risposte. Intanto venne il momento della partenza di Biondetti. Il pilota gettò la sigaretta, abbassò gli occhiali. Sulla fronte, la ruga - o la cicatrice? - si fece più profonda. Partì con rabbia, Biondetti, come per una sfida. Allora pensammo a quegli uccelli dei mari del nord, che escono solo con la tempesta. Le chiamano procellarie e dicono che la bufera sia la loro ragione di vita. Era per questo che Biondetti correva.