EMILIO MATERASSI

Emilio Materassi (Borgo San Lorenzo, 1 novembre 1894 – Monza, 9 settembre 1928) è stato un pilota automobilistico italiano. Emilio Materassi nacque a Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze nel 1894 ed era figlio di Francesco ed Annunziata Poli. Inizialmente lavorò come garzone nella bottega del padre che vendeva cordami poi con i suoi guadagni acquistò un'auto da corsa che nel 1922 lo portò ad effettuare le prime gare. Sfiduciato dagli scarsi risultati ottenuti abbandonò le gare e si fece assumere come autista di autobus presso la S.I.T.A.. Ma la passione per le corse l'aveva ormai nel sangue e non potendo gareggiare in auto si sfogava con il pullman percorrendo le tortuose e dissetate strade dell epoca a velocità elevate tanto che dopo le lamentele dei clienti l'azienda lo licenziò. Per sfogare la sua passione acquistò una vecchia Itala, chiamata Italona e dopo averla rimessa in sesto ricominciò a correre, questa volta i risultati non mancarono. Dal 1925 al 1928 pilotando Itala, Bugatti e TALBOT vinse alla Coppa Perugina, alla Targa Florio, alla Coppa delle Colline Pistoiesi, al Circuito del Mugello, al Gran Premio di Tripoli, al Circuito del Savio e al Circuito di Montenero. Oltre ai successi sportivi aveva sposato Norma Parolai che lo rese padre di due figlie, inoltre era stato nominato presidente del Club Ciclo Appenninico 1907, divenne consigliere della società Fortis Juventus 1909 ed a livello locale era membro della Misericordia di Borgo San Lorenzo. La sua carriera come la sua vita terminò il 9 settembre 1928 al Circuito di Monza quando durante il 17° giro del Gran Premio tentando il sorpasso di Giulio Foresti la sua TALBOT urtò con la ruota anteriore destra la ruota posteriore sinistra di Foresti e dopo aver perso il controllo, l'auto urtò un muretto laterale e piombò sugli spettatori alla velocità di circa 200 km/h. In quell'incidente , uno dei più gravi della storia dell'automobilismo morirono 20 spettatori e si ebbero più di 40 feriti. Emilio Materassi subito dopo l'incidente riuscì a uscire da solo dalla macchina , fece alcuni passi e nello stesso tempo parlò con il pubblico, ma dopo pochi istanti si accasciò al suolo. All'arrivo dei soccorsi Materassi era già morto stroncato da una emorragia interna conseguente ad un colpo ricevuto alla tempia.


 


 Emilio Materassi su BUGATTI TYPE 35 C domina la 18^ TARGA FLORIO 1927

 

 

Ottanta anni fa la scomparsa di Emilio Materassi, campione dimenticato.

Lo scorso anno presi lo spunto per scrivere un breve articolo su Emilio Materassi da una strana coincidenza: il 9 settembre si correva, a Monza, il Gran Premio d’Italia, lo stesso giorno in cui, settantanove anni prima, nella stessa corsa e sulla stessa pista, aveva perso la vita in un tragico incidente il pilota borghigiano. Quest’anno l’occasione me la dà l’ottantesimo anniversario della scomparsa, ma l’importante per me, al di là delle ricorrenze o delle coincidenze, è parlare di Emilio Materassi, farlo conoscere, per quello che è stato in pista, un grande campione, e per quello che sarebbe potuto diventare dopo, un grande dirigente di scuderia o addirittura un costruttore di auto da corsa. Come Enzo Ferrari, prima di Enzo Ferrari. In queste poche righe vorrei parlare delle potenzialità che Emilio Materassi non ha potuto esprimere, del suo spirito innovativo, del suo coraggio anche fuori dalla pista, della sua intraprendenza. In un periodo in cui i campioni toscani del volante sono tutti membri della nobiltà (i conti Giulio e Carlo Masetti, Carlo Niccolini. Gastone Brilli Peri) o dell’alta borghesia (Bruno Presenti, Zaniratti, Benini), Materassi emerge lo stesso grazie alle sue capacità di pilota e di tecnico che spesso impiega per migliorare le auto di cui dispone. Diventato pilota, e poi concessionario, dell’Itala, prima cerca inutilmente di convincere la casa torinese a modificare le sue auto per renderle competitive, poi decide di fare da sé. Nel suo garage di Firenze modifica il telaio di un’Itala 55, poi, sempre dall’Itala che li aveva costruiti durante il periodo bellico ’15-’18 su licenza Hispano - Suiza, compra un motore d’aereo. Glielo vendono “a peso” poiché dopo al fine del conflitto i magazzini traboccano di questi residuati. Sempre nell’officina del suo “Autogarage Nazionale”, Materassi modifica anche il motore: toglie quattro cilindri, probabilmente per adattarlo allo chassis, porta la cilindrata a tremila centimetri cubici. Lavora senza orario, mangiando grandi quantità di gelato, alimento di cui è goloso ed alla fine nasce la sua “Itala Special”. E’ un mostro di quasi due tonnellate e le sue generose dimensioni fanno sì che diventi subito “l’Italona” e poi, una volta che Emilio Materassi l’aveva dipinta di un giallo brillante, la “canarona”. In pratica ha anticipato di oltre trent’anni gli assemblatori inglesi (i celebri John Cooper e Colin Chapman) che inventeranno, alla fine degli anni’50, l’odierna Formula 1. Con questo “ibrido” sfida quelli che ora verrebbero chiamati i “top teams”: l’Alfa Romeo, la DELAGE e soprattutto la Bugatti. E vince, ma sa bene che non può durare e dove non può fare la differenza con la sua guida aggressiva (come invece fa al Mugello ed al Circuito del Montenero) è costretto ad un ruolo secondario. Le prova tutte, prima con la Diatto, poi con la Maserati, infine centra il suo obiettivo: diventa pilota della Bugatti ed appena ha un mezzo competitivo vince la Targa Florio ed i Gran Premi di Tripoli e San Sebastian, tre delle più importanti corse dell’epoca. Emilio Materassi, tuttavia, ha un’altra idea e fa di tutto per metterla in pratica: va a Molsheim, in Alsazia, alla sede della Bugatti, per convincere Ettore Bugatti ad affidargli le sue auto. Non se ne fa di nulla, ma poco dopo viene a sapere che la TALBOT - Darracq vende in blocco la sua squadra corse. Lui, intraprendente come sempre e anche ottimista, acquista le monoposto francesi siglate “700”, famose per avere un gran motore (progettato da un italiano, Bertarione), ma grossi problemi all’avantreno ed ai freni. Forse è anche questa imperfezione, questa possibilità di correggere lui l’errore di altri, che lo affascina. Si espone finanziariamente, ma fonda la “Scuderia Materassi” ed è proprio lui a usare per primo quel termine, “Scuderia” appunto, che diventerà leggendario per un cavallino rampante. Il simbolo della “Scuderia Materassi” è un omaggio a Firenze: giglio rosso in campo bianco. Non avrà vita facile. Ai problemi tecnici evidenziati dalle TALBOT “700” si aggiunge l’annuncio del cambio di regolamento: dal Gran Premio d’Italia verrà istituita la limitazione sul peso che dovrà essere inferiore a 750 Kg. Le sue auto ne pesano 780 e rischiano di essere escluse dalle corse più importanti. Si mette di nuovo in moto, modifica pesantemente il treno anteriore, l’impianto frenante, ed al tempo stesso migliora lo sterzo.
Anche Nuvolari, intanto, ha fondato la sua Scuderia, a Mantova. Tazio ha avuto la possibilità di comprare le Bugatti, anche lui si è esposto parecchio, pur avendo altri mezzi economici. Fra i due esplode un’accesa rivalità: al Gran Premio di Tripoli un reclamo di Nuvolari, fondato, ma poco sportivo, impedisce a Emilio Materassi di prendere il via. Per Materassi significa perdere l’ingaggio che avrebbe dato ossigeno alle sue casse e rinviare l’esordio della “Scuderia Materassi” al Circuito d’Alessandria, il giorno in cui muore Pietro Bordino. Le cose sembrano aggiustarsi, vince al Mugello, sulle sue strade, per la quarta volta al Circuito del Montenero, ma il giorno della verità è quello del Gran Premio d’Italia a Monza, il 9 settembre 1928. Per quell’occasione Emilio Materassi schiera cinque TALBOT: per sé, per Arcangeli, Brilli Peri, Brivio e Comotti. E’ una giornata decisiva per il suo futuro, forse troppo. La vigilia è avvelenata dalle polemiche con Nuvolari, i due si lanciano reciproche accuse d’irregolarità sul peso delle rispettive auto. La giuria se ne lava le mani, partiranno entrambi. L’ultima corsa di Emilio Materassi dura diciassette giri, tormentati, interrotti da due fermate ai box. Dopo la seconda il suo inseguimento furibondo finisce con una brusca ed inspiegabile deviazione verso sinistra mentre sta superando la Bugatti del bergamasco Giulio Foresti, all’ingresso del rettifilo, duecento metri dopo l’uscita della curva parabolica. Quando l’auto si ferma nel fossato dopo aver piroettato sul prato gremito si contano venti morti fra gli spettatori, oltre allo stesso Materassi. La corsa prosegue. Il regime, temendo che l’accaduto possa nuocere all’immagine di “un’Italia fascista in marcia verso il progresso”, impone che ci si dimentichi del luttuoso evento il prima possibile. Per questo il nome di Materassi viene presto bandito dalla cronaca e, una volta scagionato Giulio Foresti sulla cui auto non v’è traccia di collisione, le cause dell’incidente non verranno indagate a fondo. L’ipotesi più probabile, per quella che fino al giugno del ’55 con l’incidente di Le Mans è destinata ad essere ricordata come la peggior tragedia dell’automobilismo sportivo, resta quella di un cedimento meccanico. Già prima della gara, l’ingegner Pasquale Borracci, la cui figura è stata recentemente ricordata con la pubblicazione di un libro, aveva scritto su “Auto Italiana” : “Le TALBOT, che saranno certamente presentate in gara dalla “scuderia” Materassi, pesano circa 780 kg. Sarà necessario, perché queste macchine siano ammesse in corsa, che venga sacrificato qualche pezzo accessorio non assolutamente indispensabile e, quel che è peggio, che sia alleggerito qualche organo a scapito della sua resistenza”. Parole che suonano come una premonizione. Di Emilio Materassi resta il ricordo di quello che è stato, le sue vittorie (quattro volte il Circuito del Montenero, due volte il Mugello, tre volte la Coppa della Perugina e quella delle Colline Pistoiesi, una volta la Targa Florio, il Gran Premio di Tripoli, quello di San Sebastian, la Coppa della Consuma, il Circuito di Bologna) e un senso di incompiuto per quello che la sorte gli ha tolto assieme alla vita. Con questo campione non sono stati generosi neppure nella sua terra se è vero che dell’Autodromo Internazionale del Mugello gli è stata intitolata solo una curva e che la statua che oggi si trova a San Piero a Sieve, vicino agli impianti sportivi, avrebbe trovato una più giusta collocazione, almeno nelle intenzioni di chi promosse l’iniziativa di realizzarla, ad uno degli ingressi del moderno impianto.
(da "Il Galletto" settembre 2008)
Emilio Materassi: il futuro gli è mancato.

Ci sono finalmente pochi dubbi sul fatto che Emilio Materassi sia stato un grande campione del volante .
La sua fine tragica, a Monza il 9 settembre 1928, in un incidente che era costato la vita oltre, che al pilota mugellano, anche a una ventina di spettatori, aveva contribuito a farlo scivolare nell’oblio.
Il regime fascista aveva considerato quell’incidente una sorta di onta nazionale e fatto di tutto perché se ne parlasse il meno possibile e soprattutto lo si dimenticasse alla svelta ed assieme a quella tragedia, inevitabilmente, venne dimenticato anche il grande Emilio.
In queste poche righe, vorrei anche ricordarlo per quello che non ha avuto il tempo di essere: un grande direttore di scuderia o addirittura un costruttore di auto da corsa.
Come Enzo Ferrari, prima di Enzo Ferrari.
Vorrei parlare del suo spirito innovativo, del suo coraggio anche fuori dalla pista, della sua intraprendenza.
In un periodo in cui i campioni toscani del volante sono tutti membri della nobiltà (i conti Giulio e Carlo Masetti, Gastone Brilli Peri) o dell’alta borghesia (Carlo Niccolini. Bruno Presenti, Zaniratti, Benini), Materassi emerge lo stesso grazie alle sue capacità di pilota e di tecnico che spesso impiega per migliorare le auto di cui dispone.
Questa sua abilità con gli utensili in mano lo aveva reso famoso nell’ambiente e meravigliava il suo migliore amico, Gastone Brilli Peri che delle auto apprezzava solo la velocità e manifestava il più assoluto disinteresse per le questioni meccaniche.
Emilio invece era abituato fin da ragazzo a riparare qualsiasi cosa avesse una catena, una pedivella, un motore, poi si era trovato a farlo per mestiere, quando, come autista della SITA, non era infrequente dover far mettere giudizio al motore di una corriera ferma sul ciglio della strada.
Non aveva studiato, la sua era l’università della strada.
Curioso, intelligente, intuitivo, questa sua verginità intellettuale faceva sì che fosse aperto alle soluzioni non omologate e che imparasse rapidamente.
Diventato pilota, e poi concessionario, dell’Itala, aveva cercato inutilmente di convincere la casa torinese a modificare le proprie auto per renderle competitive, accortosi che nessuno fra gli ingegneri piemontesi lo ascoltava, aveva deciso di fare da sé.
Nel suo garage di Firenze modifica il telaio di un’Itala 55, poi, sempre dall’Itala che li aveva costruiti durante il periodo bellico ’15-’18 su licenza Hispano - Suiza, compra un motore d’aereo.
Glielo vendono “a peso” poiché i magazzini traboccano di questi residuati.
Sempre nell’officina del suo “Autogarage Nazionale”, Materassi modifica anche il motore: toglie quattro cilindri, per adattarlo allo chassis, porta la cilindrata a quattromilasettecento centimetri cubici.
Lavora senza orario, mangiando grandi quantità di gelato, alimento di cui è goloso ed alla fine nasce la sua “Itala Special”.
E’ un mostro di quasi due tonnellate e le sue generose dimensioni fanno sì che diventi subito “l’Italona” e poi, una volta che Emilio Materassi l’aveva dipinta di un giallo brillante, la “canarona”.
In pratica ha anticipato di oltre trent’anni gli assemblatori inglesi (i celebri John Cooper e Colin Chapman) che inventeranno, alla fine degli anni’50, l’odierna Formula 1.
Con questo “ibrido” sfida quelli che ora verrebbero chiamati i “top teams”: l’Alfa Romeo, la DELAGE e soprattutto la Bugatti.
E vince, ma sa bene che non può durare e dove non può fare, come al Mugello ed al Circuito del Montenero, la differenza con la sua guida aggressiva è costretto ad un ruolo secondario.
Le prova tutte, prima con la Diatto, poi con la Maserati, infine centra il suo obiettivo: diventa pilota della Bugatti ed appena ha un mezzo competitivo vince la Targa Florio ed i Gran Premi di Tripoli e San Sebastian, tre delle più importanti corse dell’epoca.
Emilio Materassi, tuttavia, ha un’altra idea: vuole mettersi in proprio, cerca inutilmente di convincere Ettore Bugatti ad affidargli le sue auto, ma poco dopo viene a sapere che la TALBOT - Darracq vende in blocco la sua squadra corse.
Lui, intraprendente come sempre e anche ottimista, acquista le monoposto francesi siglate “700”, famose per avere un gran motore (progettato da un italiano, Bertarione) e grossi problemi ad avantreno e freni.
Forse è anche la possibilità di correggere lui l’errore di altri, che lo affascina. Si espone finanziariamente, ma fonda la “Scuderia Materassi” ed è proprio lui a usare per primo quel termine, “Scuderia” appunto, che diventerà leggendario per un cavallino rampante.
Il simbolo della “Scuderia Materassi” è un omaggio a Firenze: giglio rosso in campo bianco.
Non avrà vita facile. Ai problemi tecnici evidenziati dalle TALBOT “700” si aggiunge l’annuncio del cambio di regolamento: dal Gran Premio d’Italia verrà istituita la limitazione sul peso che dovrà essere inferiore a 750 Kg. Le sue auto ne pesano 780 e rischiano di essere escluse dalle corse più importanti. Si mette di nuovo in moto, modifica pesantemente il treno anteriore, l’impianto frenante, ed al tempo stesso migliora lo sterzo. Ha speso molti soldi e quella di Monza, il 9 settembre 1928 è una giornata decisiva per il futuro suo e della Scuderia. La vigilia è avvelenata dalle polemiche con Nuvolari, i due si lanciano reciproche accuse d’irregolarità sul peso delle rispettive auto. La giuria se ne lava le mani, partiranno entrambi.
L’ultima corsa di Emilio Materassi dura diciassette giri, tormentati, interrotti da due fermate ai box.
Dopo la seconda il suo inseguimento furibondo finisce con una brusca ed inspiegabile deviazione verso sinistra mentre sta superando la Bugatti del bergamasco Giulio Foresti, all’ingresso del rettifilo, duecento metri dopo l’uscita della curva parabolica.
Quando l’auto si ferma nel fossato dopo aver piroettato sul prato gremito si contano venti morti fra gli spettatori, oltre allo stesso Materassi.
La corsa prosegue.
Di Emilio Materassi resta il ricordo di quello che è stato, le sue vittorie (quattro volte il Circuito del Montenero, due volte il Mugello, tre volte la Coppa della Perugina e quella delle Colline Pistoiesi, una volta la Targa Florio, il Gran Premio di Tripoli, quello di San Sebastian, la Coppa della Consuma, il Circuito di Bologna) e un senso di incompiuto per il futuro che gli è mancato.
[da "Microstoria" settembre 2009]
Emilio Materassi
Il 9 settembre 1928, durante lo svolgimento del Gran Premio a Monza, mentre tentava il sorpasso, al diciassettesimo giro, di Foresti, Emilio Materassi su Talbot urtava con la ruota anteriore destra la ruota posteriore sinistra dell' auto del Foresti, usciva di strada, urtava un muretto, saltava il fosso laterale e piombava sugli spettatori alla velocità di circa duecento chilometri orari. Fu uno dei maggiori incidenti nella breve storia dell' automobilismo sportivo: venti i morti, oltre una quarantina i feriti; Emilio Materassi uscì da solo dalla macchina, fece alcuni passi, cominciò a parlare, ma dopo pochi istanti si accasciò al suolo. Pochi minuti ancora ed era già morto per un' emorragia interna, causata da un colpo alla tempia. Così terminava la sua esistenza un grande campione, che gareggiò per quattro anni, dal 1925 al 1928, con Varzi, Ferrari, Nuvolari, Campari, Brilli Peri, Masetti, e tanti altri pionieri, alla ricerca sempre di nuove emozioni e di nuovi traguardi, sapendo che l'automobile sarebbe diventata in breve non più un lusso ma una necessità, e che bisognava superarsi sempre per afferrarne i limiti, abbatterli e sfidare i nuovi. Grazie a Materassi, Brilli Peri come a Villeneuve e Senna, la morte dei piloti è "servita" ad aumentare la sicurezza delle automobili, mentre le morti degli spettatori sono "servite" a rendere più sicure le strade e chi ci vive accanto. Emilio Materassi morì dunque a Monza, all'età di trentaquattro anni, essendo nato il 1º novembre 1894, a Borgo San Lorenzo, da Francesco ed Annunziata Poli. Lavorò per un po' di tempo nella bottega paterna dove vendeva cordami e fiaschetteria, poi comprò un'automobile da corsa, nel 1922, cominciando a gareggiare con poca fortuna, sicché decise di lasciar perdere le corse, facendosi assumere dalla SITA come autista. Avendo ormai la velocità nel sangue percorreva al volante dei pullman le strade dissestate dell' epoca a velocità piuttosto elevata, facendo arrivare a destinazione i passeggeri piuttosto strapazzati cosicché, dopo numerose lamentele, fu licenziato. Non gli rimase che comprare una vecchia Itala, la cosidetta Canarona, rimetterla in sesto e ricominciare a correre, stavolta con maggior fortuna. Dal 1925 al 1928, con la Itala, la Bugatti e la Talbot, vinse numerose gare, dalla Coppa Perugina alla Targa Florio, dalla Collina Pistoiese al Gran Premio di Tripoli, dal Circuito del Mugello al Gran Premio di San Sebastiano, dal Circuito del Savio al Circuito di Montenero... Nel frattempo si era sposato con Norma Parolai ed aveva avuto due figlie; era diventato presidente del Club Ciclo Appenninico 1907, consigliere della Fortis Juventus 1909 e ricopriva varie cariche nelle altre associazioni locali, come la Misericordia. La Gazzetta dello Sport, nell' edizione del giorno del Gran Premio fatale, pubblicò in prima pagina le cinque foto dei più grandi piloti del momento e tra queste vi era quella di Emilio Materassi. A settanta anni dalla morte è stato ricordato dal Ferrari Club di Barberino del Mugello; alcuni anni prima una statua in suo ricordo era stata posta alla partenza del Circuito stradale del Mugello a San Piero a Sieve; in occasione del Gran Premio di F.1 a Monza quasi ogni anno le Tv ed i giornali nel fare le cronistorie dell'avvenimento ricordano i tempi passati e la tragedia del 1928; l'Autodromo internazionale del Mugello, sorto nel comune di Scarperia, ha una curva intitolata ad Emilio Materassi. Solo Borgo San Lorenzo, paese natale del pilota, si è completamente dimenticato di quest'uomo che da vivo ha contribuito con il suo nome ed i suoi soldi alle fortune delle associazioni locali, sì da avere al suo funerale ben nove preti, fra i i quali padre Massimo da Porretta. Ma il tempo fa dimenticare le grazie ricevute, con buona pace di tutti.
Lanfranco Villani