ATTENTI A QUEI DUE...

ALESSANDRO NANNINI & ALEX ZANARDI

Alessandro Nannini, nato a Siena il 7.7.1959. Gran Premi disputati 78. Vittorie 1. Piazzamenti 18. Debutta nei rally, ottenendo significative vittorie prima di passare alle gare in monoposto. Campione di Formula Fiat Abarth nel 1981, debutta in Formula 1 nel 1986 con la Minardi. Vince il Gran Premio del Giappone 1989 con la Benetton. Vittima di un incidente in elicottero nel 1990, continua con successo la carriera con le vetture Turismo dell’Alfa Romeo sino al 1996. Corre per l’ultima stagione nel 1997 con la Mercedes.

Alex Zanardi, nato a Bologna il 23.10.1966. Gran Premi disputati 44. Piazzamenti 1.Uno dei piloti più simpatici (e sfortunati) del «Circus», lascia la Williams dopo la stagione disastrosa del 1999. Va in America a correre, ma nel settembre del 2001 ha un gravissimo incidente al Lausitzring, in Germania. Perde entrambe le gambe, ma con straordinaria forza di volontà riprende a camminare in pochissimo tempo. E sale di nuovo alla guida di una monoposto, sia pur non in gara, nel giugno del 2003.


Concentrazione, grinta, talento e, allo stesso tempo, serenità e voglia di intendere l'automobilismo come sport più che come professione: queste le doti di ALESSANDRO NANNINI.

Nannini, con la sorella Gianna, decisamente più celebre del pilota.

Gran Premio del Giappone 1989, vince Alessandro Nannini, qui con Patrese e Boutsen.

13 ottobre 1990 ore 2,00, Nannini esce dalla sala operatoria del CTO di Firenze.

Maggio 1992, Al Mugello trionfa Alessandro Nannini con l'Alfa 155 GTA.

ALESSANDRO NANNINI.

IL 1980 FU UNA BUONA ANNATA: tra i tanti che si misero in luce c'erano Emanuele Pirro, Paolo Barilla, Roberto Ravaglia e molti altri ancora. Ma in quella fatidica domenica 21 settembre, a Varano de' Melegari, nessuno di loro portò a casa la vittoria. A comandare il gruppone delle monoposto, ce n'era una immacolata, senza le scritte degli sponsor, pilotata da un ragazzo toscano fuori dell'ordinario: uno sconosciuto, venuto da chissà dove, che si chiamava Alessandro Nannini. A differenza della moltitudine dei suoi colleghi il giovane conduttore non aveva alcuna esperienza motoristica di un certo livello, non aveva fatto parte della nazionale italiana di karting, né frequentato qualche scuola di pilotaggio. Semplicemente aveva gareggiato in rally regionali per poi acquistare per gioco una Formula Fiat Abarth, categoria che Nannini non sapeva nemmeno che cosa fosse. Lì per lì i suoi rivali pensarono che quella prestazione varanese fosse il frutto di un caso, di circostanze favorevoli o di qualche trucco segreto. Ma alla gara successiva Nannini fu ancora una volta grande protagonista e l'anno seguente, il 1981, trionfò spesso e volentieri aggiudicandosi alla fine il Campionato italiano. Il 12 ottobre 1990 Alessandro decise che era tempo di mostrare alla propria famiglia l'elicottero che da poco aveva acquistato. Di ritorno da Firenze, dove Nannini si era recato per far vidimare alcuni documenti, il velivolo puntò su uno spiazzo di terra a pochi metri dalla splendida villa di famiglia che sorge sulle colline senesi. Sull'elicottero, oltre ad Alessandro, si trovavano il pilota e due amici del campione toscano. Era venerdì pomeriggio, una giornata tranquilla. Nannini si era preso qualche giorno di riposo tra il Gran Premio di Spagna, nel quale era giunto al terzo posto, e quello del Giappone che avrebbe dovuto disputarsi la settimana seguente.
Il velivolo sorvolò Siena, cercò di adagiarsi nello spiazzo prestabilito ma qualcosa non funzionò a dovere. Dopo un primo tentativo fallito, ci fu una manovra brusca: l'elicottero andò in rotazione e precipitò, sotto gli occhi attoniti del padre del campione.
Poche ore più tardi il Centro Traumatologico Ortopedico di Firenze si animò di strane presenze. Nei corridoi bui dell'ospedale si erano dati appuntamento centinaia di appassionati, di curiosi, giunti fin là per dare conforto alla famiglia Nannini. In una saletta disadorna, fredda, gelida come tutte le stanze d'attesa, Paola Nannini si muoveva nervosamente, consolata a turno da Riccardo Patrese e sua moglie, da Nelson Piquet, dagli amici fraterni di Alessandro. Passò un tempo che parve interminabile. Alle due di notte, accolto silenziosamente, il primario del reparto ortopedico professor Bufalini, volto stanco e disfatto, varcò la soglia di quella stanza. Si rivolse a Paola, la moglie del pilota senese. Disse che Nannini non correva alcun pericolo di vita, che l'operazione per riattaccargli l'avambraccio destro, troncato di netto dall'impatto contro le lamiere dell'elicottero, era clinicamente riuscita ma che non si poteva ipotizzare il recupero totale o parziale dell'arto leso. A preoccupare il primario erano anche le condizioni della mano sinistra del campione, i cui tendini erano rimasti completamente schiacciati. Nessuno parlò della professione del pilota: Nannini, per la gente, in quel 12 ottobre aveva concluso la sua carriera. Definitivamente.
Il 22 marzo 1992 si corre a Città del Messico la seconda gara del Campionato mondiale di Formula 1. Ma in Italia c'è chi ha preferito salire in macchina e recarsi a Monza, dove è in programma la corsa inaugurale del Campionato Superturismo.
L'occasione è interessante: sulle Bmw ufficiali ci sono specialisti di caratura mondiale, da Ravaglia a Pirro, a Winkelhock; sulle Alfa Romeo il collaudatore della Ferrari Nicola Larini, Giorgio Francia, Antonio Tamburini. E soprattutto un pilota che nessuno ha dimenticato, che è rimasto, malgrado una stagione d'assenza dalle competizioni, il personaggio più popolare di questo sport: Alessandro Nannini.
1980, 1990, 1992: tre tappe, tre momenti di un romanzo unico, perfettamente in sintonia con il carattere di un ragazzo parecchio diverso dai suoi colleghi. Un campione che ha scelto l'automobilismo non per emulare i grandi del passato, ma per semplice divertimento, per mettere alla prova quel suo istinto così particolare per la velocità, per misurare la sua voglia di sfida con tutti, gli avversari e la vita.
Nannini è uno che sa sdrammatizzare qualsiasi situazione, che in Formula 1 ha portato una ventata nuova, è una sorta di "Giamburrasca" sempre pronto a prendersi gioco degli altri e a ironizzare su se stesso. La sua importanza per l'automobilismo è anche questa: Nannini ha rotto gli schemi rigidi che vogliono il pilota contemporaneo distaccato dalla gente, teso solo a inseguire il risultato sportivo e tecnico.
Punto di forza, ai più sconosciuto, è l'assoluta mancanza di cultura specifica del settore nel quale Alessandro ha raggiunto i più alti livelli. I suoi amici e colleghi ricordano spesso che Nannini si presentò nel 1982 al via del Campionato europeo di Formula 2 senza conoscere nemmeno un pilota avversario. Quando gli dissero che si trovava nella stessa fila di Mike Thackwell, all'epoca considerato come una delle più concrete promesse dell'automobilismo mondiale, Nannini rispose che non sapeva nemmeno chi fosse. E lo stesso disse, a questo punto forse per un vezzo, quando gli parlarono di Jim Clark, di Jackie Stewart. Per altri questa carenza di nozioni avrebbe rappresentato un concreto impedimento per far carriera. Invece, proprio grazie a questo, Alessandro si è presentato nel mondo delle gare senza alcun timore reverenziale. Ha duellato ruota a ruota con tutti i grandi, infischiandosene del fatto che si chiamassero Prost o Senna, Patrese o Mansell. Ma attenzione: il suo stile di guida, naturale e istintivo, si è progressivamente affinato. Dal 1986, anno del suo debutto in Formula 1 con la Minardi, al 1990 Nannini ha preso parte a 77 Gran Premi, andando a punti in ben diciannove occasioni. Un bottino da osservare attentamente perché nelle prime due stagioni il pilota senese non disponeva certo di una monoposto in grado di lottare per le prime posizioni. Una volta arrivato alla Benetton, Nannini ha saputo modificare anche il suo modo di correre: aggressivo, vivace, non ha mai gettato al vento le occasioni, dimostrando anche buone doti di tattico e di collaudatore. Un professionista totale, insomma, capace di imprese uniche.
A Imola, nel 1988, fu l'eroe della corsa. Dietro all'imprendibile Senna e alla sua McLaren, la Benetton di Alessandro si produsse in una rimonta eccezionale, a colpi di ruotate con la Williams dell'amico Riccardo Patrese. L'epilogo fu sfortunato perché Nannini dovette accontentarsi del sesto posto finale invece del terzo.
In quell'anno, però, si prese la rivincita in un'edizione bagnatissima del Gran Premio d'Inghilterra, giungendo sul terzo gradino del podio dopo averne combinate di tutti i colori. Nel 1989 Nannini vinse il Gran Premio del Giappone, ma fu il primo ad ammettere di non sentire completamente sua quell'affermazione per via dell'esclusione dalla classifica inflitta ad Ayrton Senna. Ancora oggi, tra le maggiori soddisfazioni del pilota toscano, restano i sedici giri trascorsi al comando nel Gran Premio di Germania del 1990 o lo splendido terzo posto del Gran Premio di Spagna dello stesso anno, l'ultimo da lui disputato.
Il 9 e 10 maggio del 1992 Alessandro Nannini da Siena, pilota ufficiale dell'Alfa Romeo nel difficile Campionato italiano Superturismo, trionfa nelle due prove tricolori dell'autodromo del Mugello. È l'inizio ufficiale di una nuova carriera. (G.S.)

ALEX ZANARDI.

FACCIA A FACCIA CON ALEX ZANARDI

(da Automobile Club febbraio 2007)

LA SICUREZZA NON FA SCONTI.
Schiacciare sull'acceleratore quando le condizioni non lo permettono è un comportamento criminale. E come tale va trattato. Per l'ex pilota di Formula 1 non esistono compromessi. Chi si mette al volante deve essere consapevole del fatto che le regole non sono fini a se stesse, e che non rispettarle può implicare gravi conseguenze. Le strategie migliori? Tanta educazione nelle scuole, corsi di guida mirati e pubblicità a forte impatto
A vent'anni pensi di aver capito tutto, invece hai capito poco. Soprattutto quando impugni il volante. Il mio consiglio: collegare sempre il cervello al piede e attenersi alle regole del Codice della strada per il nostro bene. Quindi: mai telefonare col cellulare senza l'auricolare, mai mandare un sms mentre si guida, e allacciarsi sempre le cinture di sicurezza. Andare veloci non è un atto di coraggio, ma di incoscienza». Alla Conferenza dei ministri europei dei Trasporti a Verona, è intervenuto anche Alex Zanardi. Ex pilota di Formula 1 (Jordan, Minardi, Lamborghini, Lotus, Williams) ed ex campione di Formula Indy, ha perso entrambi gli arti inferiori in una corsa automobilistica. Era il 15 settembre 2001 sulla pista di Lausitzring, a 100 chilometri da Berlino e a 60 da Dresda. Ma il pilota ha reagito ed è tornato a correre.
Zanardi, ci sono ancora troppi morti e feriti sulle strade. Eppure la gente continua a correre. Come se fosse in pista. Ma che popolo siamo?
«Vorrei portare gli italiani a riflettere. A capire che bisogna osservare le regole non perché c'è un cartello che ci obbliga a farlo. Ma per le conseguenze, spesso gravi, che ne derivano. Non riesco a non stupirmi ogni volta che, con la nebbia, da Padova dove abito torno a Bologna a casa di mia madre o di amici. Non si vede a 30 metri di distanza, eppure c'è chi mi supera. E allora penso: guardali questi, hanno una famiglia, degli affetti, un lavoro e stanno per rovinare tutto. In un secondo».
Mostrare ai ragazzi i video anche cruenti di incidenti mortali può servire a farli riflettere?
«Certamente. Ma non ha senso filmare la morte in diretta. A quella i giovani si sono abituati, perché la vedono spesso in televisione e al cinema. Bisognerebbe piuttosto mostrare loro le pesanti conseguenze di un errore di guida: la sedia a rotelle. È quello che i nostri ragazzi temono di più. Quella sedia è la dimostrazione concreta che, a differenza dei film, la pellicola della vita non può essere riavvolta e ritrasmessa. Non si può più tornare indietro. La condanna è purtroppo per sempre».
Secondo lei, è bene che i neopatentati, e non solo loro, si esercitino in lezioni pratiche di guida sicura per saper gestire al meglio le situazioni critiche?
«Li consiglio, questi corsi, e non solo ai neopatentati. Per e-sempio, a Vallelunga ; c'è una struttura fantastica dove un ragazzo e un adulto possono non solo mettersi alla prova e imparare a guidare meglio, ma anche conoscere come ci si può togliere dai guai quando capita l'imprevisto. Nella guida, come nella vita, l'importante è avere sempre dei margini di sicurezza sui quali contare».
Che cosa rappresenta l'auto per un ragazzo?
«Molto. Lo so bene perché anch'io da giovane sono caduto in tentazione. Da una parte l'auto è un mezzo che serve a sfogare le proprie emozioni. Dall'altra è una sfida. Andare forte significa diventare credibili agli occhi di amici e coetanei. Ai miei tempi, però, le strade erano diverse e riuscivamo a manifestare la passione per i motori su asfalti quasi deserti. Adesso il traffico è infido dappertutto, in par-ticolar modo quando si esce dalle discoteche».
I giovani e le forze dell'ordine: un rapporto conflittuale. Come è possibile ristabilire un contatto e un dialogo?
«I ragazzi osservano molto il comportamento degli adulti. E li giudicano. Se vedono l'agente nascosto dietro un albero con l'autovelox in azione perché è obbligato ingiustamente a fare cassa, è evidente che considerano l'uomo in divisa come una persona che li vuole solo frega-
re. E, quindi, si fanno furbi a loro volta perché diventa una sfida: appena intravedono in lontananza che c'è un'auto della polizia, o qualcuno li avvisa con i fari, rallentano e, una volta al sicuro, schiacciano di nuovo l'acceleratore. Ma con la furbizia non si arriva da nessuna parte. A 20 anni non è facile capire che è sbagliato rischiare e che guidare una macchina è come avere in mano una pistola con la licenza di uccidere. I giovani accettano la lezione, il dialogo e le punizioni se arrivano da agenti che hanno un comportamento integerrimo e ai quali riconoscono autorevolezza».
In uno degli ultimi sondaggi AC1, i ragazzi sostengono che per evitare gli incidenti stradali, bisogna puntare sulla prevenzione con una seria educazione stradale. È d'accordo?
«Certo, ma vado oltre. So bene che oggi, in un mondo globalizzato, è indispensabile imparare l'inglese e saper usare il computer. Ma è indispensabile anche conoscere i segnali, sapersi districare nel traffico, guidare con prudenza. L'educazione stradale deve diventare una materia con tanto di voti e di esami. Forse, così, riusciremo a salvare più vite umane. Che cosa ci serve, infatti, una persona che sa parlare perfettamente l'inglese di Oxford, ma fa il pirla sulle strade mettendo a repentaglio la sua vita e quella degli altri?».
Il sottosegretario ai Trasporti, Cesare De Piccoli, vorrebbe Valentino Rossi come testimonial per la sicurezza stradale. Una scelta giusta o troppo ardita, dal momento che Rossi è noto per le sue impennate sui circuiti del motomondiale? Ci sono già state polemiche a tal proposito...
«Valentino è la persona giusta perché è credibile e ha carisma. Se è lui a dire ai giovani che devono essere responsabili quando sono al volante di un'auto o sono in sella a una molto, i ragazzi lo ascoltano».
Per evitare le stragi del "sabato sera" si è pensato di premiare con l'ingresso gratuito in discoteca quei ragazzi che per tutta la notte non toccano un goccio di alcol e poi, alla guida dell'auto, portano gli amici a casa sani e salvi. Una bella idea, no?
«Quando ero un ragazzo, se facevo dieci cose giuste e una boiata, prendevo calci nel sedere per la boiata. Ora ai nostri figli, se fanno dieci boiate e una cosa giusta, diamo anche una carezza. Ragionavano meglio i nostri padri e i nostri nonni. Perché devo premiare chi non beve quando guida, se fa solo il suo dovere di cittadino? E se non rubo e non ammazzo, mi aspetto una vacanza ai Caraibi? Ecco perché poi i ragazzi non capiscono più nulla. Se fanno una boiata, meritano il classico e salutare calcio nel sedere. E gli dobbiamo spiegare perché gli è arrivata la pedata. Non possiamo mettere un poliziotto dietro ogni albero. La sicurezza devono averla nella testa. Il problema non è scegliere se bere o no quando ci si mette al volante. Non si beve e basta, perché l'alcol altera i riflessi. Bisogna essere inflessibili. E giusti nel punire».
Che significa essere giusti?
«Le multe sono uno degli argomenti di cui si parla molto fra amici, conoscenti, persone con le quali ci si scambia quattro chiacchiere. Volete sapere che cosa si pensa in genere di questo argomento? Gli agenti sono uomini, non robot. E, quindi, devono interpretare la legge con il buon senso. Dunque, perché allora devono multare una persona che alle sei del mattino, su una strada quasi deserta, fa i 150 all'ora in autostrada perché sta andando a lavorare a bordo di una Bmw, una macchina ben gommata e che inchioda appena sfiori il pedale del fre-
no? E poi invece non viene sanzionato chi guida un'automobile a 130 all'ora, sempre in autostrada, ma con le gomme lise, magari su un asfalto reso scivoloso dalla pioggia? Il primo secondo il Codice è fuorilegge, anche se non crea pericoli; il secondo rispetta la legge perché di fatto non supera i limiti di velocità, ma è un pericolo ambulante. Questo sarebbe buon senso? E potrei continuare con questi esempi...».
Prego...
«Prendiamo il caso dell'automobilista che passa a 50 all'ora sulle strisce pedonali e sfiora una mamma con un bambino per mano che potrebbe anche divincolarsi. I limiti di velocità scino stati rispettati, ma ha creato una situazione di grave pericolo. Eppure anche questo la passa liscia. Io, invece, a una persona così non solo toglierei la patente, ma darei anche due schiaffi perché non merita di guidare un'auto. È l'unico modo per fargliela capire. Lo stesso farei con un ragazzo che, ubriaco, corre a 160-170 all'ora. Gli direi: guarda la tua patente per l'ultima volta, perché hai fatto una delle più grandi boiate della tua vita».