targa florio
TARGAMANIA!!!!!

PUBBLICITA' DOPOGUERRA

1953. La Mondial Piston così pubblicizza la sua partecipazione e vittoria alla Targa con Umberto Maglioli su  Lancia 3000.  

 
  
    

 

   

 

   

 

  

LA PUBBLICITÀ È IL "COLORE DEGLI ANNI 70

Una volta alla Targa Florio arrivavano le squadre ufficiali, con le loro vetture dipinte con i colori nazionali. Rosso per l'Italia, verde (il famoso racing green) per l'Inghilterra, blu per la Francia, argento per la Germania: il pubblico poteva individuare attraverso questa differenziazione cromatica i propri beniamini.
Il travolgente galoppo della società dei consumi ha cambiato repentinamente le carte in tavola. Adesso i colori nazionali sono stati messi in cantina, non è più di moda parlare in termini geografici, oggi che la pubblicità ha stravolto tutte le convenzioni.
Gli anni 70 dell'automobilismo agonistico saranno ricordati come gli anni della rivoluzione dei colori. Il mondo delle competizioni ne ha acquistato al cento per cento. In tutti i sensi, e ci spieghiamo perché.
Le gare automobilistiche una volta erano esclusivamente il banco di prova delle nuove soluzioni tecniche o — al limite — servivano per manifestare la superiorità politica di un paese sugli altri. Ora esse hanno perso completamente questa seconda funzione, in buona parte la prima. Ormai la ricerca tecnica ha nuove strade, ha i computers, i laboratori, anche se è vero che solo le esasperate condizioni a cui una vettura è sottoposta in gara (specie su percorsi come quelli delle Madonie) possono mettere in risalto la bontà di una soluzione o suggerire nuove vie per trovarne delle altre.
Erano dunque necessarie per le competizioni altri motivi, oltre quello incessante del confronto agonistico a livello esclusivamente sportivo. La nuova funzione è arrivata, in groppa alla società consumistica, ed è quella di portare il messaggio pubblicitario in giro per il mondo, sulle tute e sui caschi dei piloti, sulle fiancate e sugli alettoni della macchine da competizione. Ma a mio avviso il congiungimento fra gli interessi delle ruote da corsa e degli inserzionisti va oltre il puro e semplice accordo per la divulgazione della informazione pubblicitaria.
Il fatto è un altro. Le corse sono giovani di spirito, concorrono a far restare giovani tutti coloro che vi vivono a contatto, hanno oggi un seguito — specie fra i ventenni — veramente notevole. Il prodotto che si presenta sulle piste, dunque, automaticamente diventa un prodotto per i giovani. Le corse gli conferiscono una patente di vigoria (basta ricordare la pubblicità della Gulf che parla di «succo da corsa» invece che di benzina) che di solito piace ai ragazzi, che vengono convogliati all'acquisto dell'oggetto abbinato alla velocità, ai campioni del rischio, all'affascinante mondo delle competizioni automobilistiche.
Nel «grande circo» oggi c'è un giro di svariati miliardi di lire. Produttori di sigarette, grandi petrolieri, costruttori di pneumatici, distillerie di alcoolici, fabbricanti di utensili, di armi, di macchine fotqgrafiche, di giocattoli, di ceramiche: tutti cercano nelle corse un «messaggio speciale». Tutti sfruttano pubblicitariamente i successi anche parziali della vettura o della squadra patrocinata. Questi finanziatori, nel gergo automobilistico, vengono chiamati con una parola presa a prestito dal vocabolario inglese: essi sono gli «sponsor».
Il mondo delle corse, dunque, sta vivendo un periodo fecondo, dove ci sono piloti che guadagnano più di 150 milioni l'anno (è il caso di Stewart), dove ci sono squadre che in una stagione spendono sino a 500 milioni di lire per partecipare con due macchine a una quindicina di gare. Tutto questo è possibile, oggi, perché c'è il grande giro della pubblicità.
C'è però anche un risvolto a tutta questa fecondità: le squadre che si «allargano» troppo disponendo di quattrini saranno costrette a chiudere bottega se gli aiuti commerciali verranno meno. D'altronde, oggi, correre non è certo remunerativo per come sono concepite le cose. Chi vince ha solo il vantaggio di poter «agganciare» gli sponsors giusti, ma certo non può vivere con gli ingaggi e con i premi. A questo punto un interrogativo dovrebbe far meditare: quale sarà il futuro del mondo delle corse se questi finanziatori molleranno il veicolo diffusionale che va a 300 all'ora?
Tommaso Tommasi (dal Numero Unico della 56^ Targa Florio (Automobile Club Palermo):